“Babilonia nel cielo”, ovvero una saga di botanica e burnout

Che non fossi un granché a gestire i blog si sapeva già da un po’, infatti ci avevo mezzo rinunciato. Poi, però, ho visto quello che fa Brandon Sanderson con le annotazioni sui suoi libri e, come succede più o meno ogni volta che vedo qualcosa di Sanderson, la mia reazione è “Wow, devo farlo anche io!”.

Quindi eccoci qui.

Benvenuti a una nuova puntata di “Vy che tenta di fare cose”. Il menù di oggi prevede tè, biscotti e quello che mi succedeva intorno mentre scrivevo di piante aliene e altre cose inquietanti. Questo sarà il primo di tre articoli, nelle prossime settimane parlerò anche dei dettagli scientifici dietro Babilonia nel cielo e dei ragionamenti che ho fatto per strutturarlo.

Partiamo dall’inizio

Babilonia nel cielo è il racconto che ho scritto per Hortus Mirabilis, la nuova raccolta illustrata edita Moscabianca Edizioni, in uscita oggi. Come accennavo, tratta di piante aliene, visto che il tema della raccolta è la botanica immaginaria, ma anche di astronauti e pianeti inesplorati (perché altrimenti non sarei io).

La copertina di Hortus Mirabilis.
Ma quanto è bella?

Quando sono stata contattata per partecipare al progetto, uscivo da una sessione estiva disastrosa, perfetto coronamento del semestre precedente. Il mio piano, prima di prendermi un 2020 in faccia, era di laurearmi nella sessione autunnale. Avendo però fallito brutalmente due esami, era andato tutto a rotoli, quindi perché non aggiungersi un ulteriore impegno per il periodo di settembre/ottobre?

Insomma, in che modo questa poteva essere una cattiva idea? Il progetto era interessantissimo e il concept del racconto mi è venuto in mente subito.

Ho pianificato il racconto mentre ero in vacanza, la prima metà di agosto, e mi sono scontrata con il primo problema: non avevo mai scritto un racconto strutturato come Babilonia.

Complicarsi le cose

Se conoscete la saga Illuminae Files di Kaufman e Kristoff, saprete che è scritta come una raccolta di documenti, chat, trascrizioni di video etc. Mi girava per la testa di scrivere qualcosa con una struttura del genere da un’eternità – cosa che, fun fact, ha provocato un mezzo litigio con il mio migliore amico ai tempi del liceo, ma questa è una storia per un’altra volta.

Il problema di concretizzarla, però, è che avevo un range di lunghezza in cui stare per partecipare alla raccolta, e non avevo idea di quanto spazio avrei impiegato per scrivere questa o quella scena sotto forma di email o trascrizione di video. Quindi, sono stata costretta a pianificare molto a grandi linee, molto meno di quanto io sia abituata a fare.

Ma non è un problema, perché se pianifico entro la metà di agosto e devo consegnare entro la metà di ottobre, ho tutto il tempo del mondo per scrivere ed eventualmente cambiare piani se mi fosse stato necessario, giusto?

Enter sessione d’esame.

L’inferno esiste e si chiama “sessione autunnale”

In tutto ciò, io dovevo pur sempre finire gli esami, quindi da metà agosto a metà settembre il mio focus erano i suddetti sette esami – nella lista delle cose che non voglio rifare mai più nella vita c’è anche dover passare sette esami in un mese.

Ma non importa, perché una volta finiti, poi avrei avuto un mese intero per scrivere e consegnare il racconto, no?

Well, è qui che entra in gioco la componente burnout della storia.

Tra il fatto che scrivere senza un piano dettagliato mi richiede più fatica e il fatto che il mio cervello era stato ridotto in poltiglia nel mese precedente, scrivere la prima stesura del racconto è stata probabilmente la più faticosa da un paio d’anni a questa parte. Più che scrivere, la sensazione era quella di dovermi strappare le parole dalla testa. E non ha aiutato il fatto che ci tenessi molto a produrre un buon risultato, visto che il progetto mi piaceva tantissimo e l’idea del mio racconto pure. Volevo renderle giustizia a tutti i costi.

Be’, questa è una storia a lieto fine, visto che il racconto è probabilmente il migliore che ho scritto finora e, soprattutto, l’ho consegnato in tempo per la scadenza (e in tempo per lanciarmi a scrivere la tesi, lol).

Okay, ma quindi?

Perché ho raccontato tutta la storia? Perché è più facile raccontare quando va tutto bene, ma delle volte non va tutto bene. Anche quando hai scritto ormai una ventina di racconti e dovresti aver capito come si fa.

Mi piacerebbe cominciare a essere un po’ più aperta anche riguardo alle difficoltà. Vorrei abituarmi al fatto che gli incidenti di percorso sono normali, e non la fine del mondo. Tanto più che, appunto, sono del tutto soddisfatta del risultato – anche grazie all’editing, ma di quello parlerò nel terzo articolo.

E, insomma, non c’è nulla di meglio per fare i conti con qualcosa che raccontarla su internet.

Ma di cose da dire su Babilonia ne ho ancora parecchie. In particolare, lunedì prossimo si parla delle ispirazioni scientifiche che ci ho inserito – cioè la mia parte preferita di quando scrivo un racconto di fantascienza, perché sono quel tanto una nerd. Vi aspetto!

L’immagine di copertina dell’articolo è un’elaborazione che ho fatto di come ho immaginato il pianeta in cui è ambientato il racconto. Più dettagli a riguardo lunedì prossimo!

2 pensieri riguardo ““Babilonia nel cielo”, ovvero una saga di botanica e burnout

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